In un’epoca in cui riemergono le tendenze protezionistiche, il multilateralismo non è più di moda e l’anno 2017, per la World Trade Organization, si è chiuso con un fallimento della conferenza a Buenos Aires. L’Africa, invece, va a passi veloci verso la creazione dell’Area di Libero Scambio Continentale (Continental Free Trade Agreement o Cfta) comprendente, a regime, i 55 Paesi del continente. Nata sei anni fa da un’idea di alcuni leader africani e fatta propria dall’Unione africana, dovrebbe essere operativa da marzo di quest’anno e creare un mercato unico – almeno per quanto riguarda merci e servizi – come accadde in Europa 60 anni fa.
Il progetto di accordo è stato raggiunto a Niamey in Niger lo scorso dicembre dopo negoziati cominciati a giugno del 2015 e ora si attende soltanto la ratifica. I governi hanno compiuto un passo fondamentale verso la creazione di una delle aree commerciali più grandi del mondo. L’area di libero scambio coprirà un mercato da 1,2 miliardi di persone, con un Pil di 2,2 trilioni di dollari. Con le prospettive di crescita dell’Africa, la Cfta potrebbe diventare più grande del Nafta tra Stati Uniti, Canada e Messico (North American Free Trade Agreement).
Il Cfta giunge in un momento in cui altri accordi commerciali mega-regionali sono in stallo. Gli Usa di Donald Trump hanno annunciato l’uscita dal Trans Pacific Partnership, per un mega accordo, ancora in larga parte in via di definizione e ancora da ratificare, di partnership commerciale e di investimenti reciproci a cui hanno aderito undici Paesi dell’area del Pacifico (Canada, Australia, Cile, Nuova Zelanda, Brunei, Singapore, Giappone, Malesia, Messico, Perù e Vietnam).
L’accordo commerciale dell’Africa copre il 90% delle merci scambiate nel continente, con il restante 10% di articoli sensibili e prodotti esclusi che potranno essere introdotti gradualmente. Va oltre gli accordi commerciali tradizionali di beni, perché anche i servizi dovranno essere progressivamente liberalizzati. Questo deve essere sostenuto da un meccanismo per affrontare le principali barriere non tariffarie dell’Africa, come ritardi alle frontiere, usanze gravose e procedure di ispezione.
Il Cfta comprende tre protocolli: il protocollo sullo scambio di servizi, che avrà due allegati; il protocollo sullo scambio di merci con nove allegati; e il protocollo sul meccanismo di risoluzione delle controversie. Sui servizi l’accordo c’è, ma in base a quanto dichiarato al New York Times da Prudence Sebahizi (capo consigliere tecnico del Cfta Unit dell’Unione africana), è necessario un ultimo lavoro per completare il protocollo sullo scambio di merci e sui suoi allegati, nonché il protocollo sulle norme e le procedure per la risoluzione delle controversie. Per questo motivo, è stato concordato un calendario di riunioni che va da gennaio a marzo 2018. Dopodiché i capi di Stato e di governo decideranno quando e dove firmare l’accordo che istituisce la zona africana di libero scambio continentale. L’attuazione avverrà in un periodo compreso tra cinque e quindici anni, a seconda delle circostanze economiche.
Il commercio intra-africano comprende una grande quota di prodotti industriali e di valore aggiunto come prodotti agricoli trasformati, prodotti di base e servizi finanziari e al dettaglio ed è diverso dai beni commerciali esportati dall’Africa al resto del mondo, che sono per lo più colture, prodotti minerali, metalli e petrolio. In una fase successiva, inizieranno i negoziati sulla politica della concorrenza, i diritti di proprietà intellettuale ed, eventualmente, anche l’e-commerce.
Secondo il presidente del Niger Mahamadou Issoufou, che assieme all’economista camerunense Vera Songwe (che è anche segretario della United Nations Economic Commission for Africa) ha firmato un intervento pubblicato sul Financial Times, il Cfta rivoluzionerà il modo in cui l’Africa opera: “Allontanarsi dalle esportazioni guidate dalle materie prime contribuirà a garantire un commercio più sostenibile e inclusivo che sia meno dipendente dalle fluttuazioni dei prezzi delle materie prime. Ciò sarà di particolare beneficio per le piccole e medie imprese africane, che supportano il 90% dei posti di lavoro e che sono in una posizione migliore per attingere alle destinazioni regionali rispetto ai mercati oltreoceano. Un mercato regionale allargato offre anche migliori incentivi sia per gli investimenti esteri diretti verso l’interno che per gli investimenti transfrontalieri all’interno del continente. La maggior parte dei mercati africani sono piccoli e frammentati, ma attraverso l’integrazione possiamo creare la scala necessaria per gli investimenti industriali”.
L’agenda per l’integrazione dell’Africa sta attraversando un momento importante anche sulla prospettiva della creazione di un Mercato Africano Unico di Trasporto Aereo (Single African Air Transport Market o Saatm), che sarà lanciato dai Capi di Stato al summit in programma ad Addis Abeba il 28 e 29 gennaio 2018. L’aspettativa è che almeno 40 dei 54 Stati africani, apriranno la strada con questa iniziativa. Alla terza riunione del gruppo di lavoro ministeriale sulla Saatm all’inizio di questo mese, 23 stati si erano impegnati a questa iniziativa. Nell’Africa orientale, l’Etiopia, il Kenya e il Ruanda hanno mostrato un serio impegno sull’apertura dei cieli.