Il prezzo del petrolio e la stabilità di Africa e Medio Oriente
20 Febbraio 2017

Un anno fa, il prezzo del petrolio è sceso ai minimi dal 2003. Il greggio scambiato a New York ha toccato il minimo di 28.36 dollari. Il crollo delle quotazioni ha provocato forti crisi economiche e sociali nei Paesi popolosi che hanno un’economia dipendente dall’esportazione di materie prime, il Venezuela in primis, poi il Brasile e la Russia, ma anche diversi Stati africani come l’Angola e la Nigeria, i quali avevano potuto beneficiare di un mercato a loro favore, che aveva portato il greggio a toccare il massimo storico nell’estate del 2008, quando le quotazioni avevano sfiorato i 150 dollari al barile.  Ma i prezzi bassi rappresentano anche un problema interno per le dinastie del Golfo.

Nel dicembre scorso i membri dell’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (Algeria, Angola, Arabia Saudita, Ecuador, Emirati Arabi Uniti, Gabon, Iran, Iraq, Kuwait, L ibia, Qatar, Nigeria, Venezuela) hanno approvato un taglio alla produzione e hanno firmato un accordo che ha coinvolto anche i Paesi non Opec (Russia, Oman e Sud Sudan). L’obiettivo dell’accordo globale di riduzione della produzione è quello di riequilibrare il mercato e di far aumentare i prezzi.

A differenza di accordi precedenti, stavolta l’Opec sta rispettando il piano. In gennaio, i Paesi membri hanno prodotto 32,14 milioni di barili al giorno (contro i 33 milioni di dicembre), al di sotto del nuovo target stabilito, che è pari a 32,5 milioni di barili. Il taglio è
stato di 890 mila barili al giorno. La produzione mondiale è scesa a 95,8  milioni di barili al giorno, in calo di 1,3 milioni rispetto a dicembre e di 0,46 milioni in confronto con gennaio 2016. E gli effetti sul prezzo non sono mancati. La quotazione ha recuperato a dicembre 2016 muovendosi al di sopra di 52 dollari, toccando quota 54 il 6 gennaio 2017. Gli analisti suggeriscono che il prezzo del petrolio possa stabilizzarsi intorno quota 60 dollari al barile per tutto il 2017. La domanda di petrolio mondiale è prevista in crescita di 1,32 milioni di barili a 94,62 milioni nel 2016 e di 1,19 milioni a 95,81 milioni nel 2017, prevede l’Opec che ha leggermente alzato le stime.

Il taglio non riguarda la Nigeria e la L ibia, esentate per ragioni di sicurezza. In gennaio la Nigeria ha prodotto in media 1,604 milioni di barili al giorno contro gli 1,37 milioni del mese precedente, ma ha perso il primato nella classifica dei maggiori produttori di petrolio in Africa, a beneficio dell’Angola. Altro Paese che vive di petrolio in Africa è la Guinea Equatoriale, che ha domandato di entrare nell’Opec. Con una produzione pari a 250 mila barili al giorno e riserve provate per 1,1 miliardi di barili, la Guinea Equatoriale è il terzo produttore di greggio dell’Africa subsahariana dopo Nigeria e Angola. Il giro d’affari delle esportazioni di petrolio e gas è pari a 10,6 miliardi di dollari e conta per il 95% dell’economia del Paese. Le ricche riserve di idrocarburi garantiscono inoltre a Malabo il secondo Pil pro capite dell’Africa dopo quello delle Seychelles.

Nello scenario globale, l’Agenzia internazionale dell’Energia ha rivisto al rialzo, per il terzo mese, le stime sulla domanda di petrolio per il 2017 a 1,4 milioni di barili al giorno. Le scorte mondiali, secondo l’Aie, caleranno di 600 mila barili al giorno nella prima metà dell’anno se l’Opec continuerà a rispettare l’accordo per il taglio della produzione deciso a fine anno. I colossi energetici mondiali hanno tirato il freno sulle attività di esplorazione, come dimostra il fatto che i nuovi giacimenti di petrolio e gas naturale sono calati al minimo da sessant’anni. In base ai dati della società di ricerca Ihs Markit, nel 2016 sono stati scoperti 174 nuovi giacimenti, contro la media di 400-500 all’anno fino al 2013. Secondo gli esperti il ribasso è anche dovuto al crescente affidamento che i Paesi fanno sulle fonti energetiche non tradizionali, come lo shale oil, che potrebbero da sole essere sufficienti a soddisfare buona parte della domanda di energia nei prossimi decenni. Gli Stati Uniti hanno rilanciato la produzione di olio di scisto: nel 2017 gli investimenti in questo settore sono previsti in aumento del 35%, con una crescita stimata della produzione di 100 mila barili al giorno a quota 4,35 milioni.

Qualunque sia l’origine del greggio, la ripresa delle quotazioni è un fattore cruciale per l’economia e la stabilità di molti Paesi, che si trovano soprattutto in Medio Oriente e in Africa.