Dopo il Nobel per la Pace a ottobre del 2019, il premier etiope Abiy Ahmed Ali ha vinto il Premio Guido Carli, che per la prima volta quest’anno è stato assegnato a una grande personalità non italiana, i cui meriti e il cui impegno siano riconosciuti in tutto il mondo. Meritocrazia, onestà e trasparenza sono i punti fermi dei criteri alla base del riconoscimento assegnato alle persone che segneranno le pagine della storia. La cerimonia di consegna si sarebbe dovuta svolgere l’8 maggio a Roma, ma come tutti gli eventi pubblici è stata rimandata a causa dell’emergenza Coronavirus.
Il premio è intitolato a Guido Carli, l’economista nato nel 1914 a Brescia che da ministro del Tesoro fu uno dei protagonisti della firma del Trattato di Maastricht e sostenitore dell’idea nobile di Europa unita, anche durante i mandati di ministro del Commercio internazionale, di presidente di Confindustria e di governatore della Banca d’Italia.
Giunto all’undicesima edizione, il premio è organizzato dalla nipote Romana Liuzzo che presiede la Fondazione intitolata all’economista scomparso 26 anni fa. La giuria è guidata da Gianni Letta, presidente onorario della Fondazione e di cui fanno parte Ornella Barra, co-Ceo di Walgreens Boots Alliance; Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria; Urbano Cairo, presidente e amministratore delegato di Rcs Mediagroup; Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset; Claudio Descalzi, amministratore di Eni; Giovanni Malagò, presidente del Coni; l’imprenditore Matteo Marzotto; Giampiero Massolo, presidente di Fincantieri; Barbara Palombelli, conduttrice Mediaset; Antonio Patuelli, presidente dell’Associazione Bancaria Italiana; Fabrizio Salini, amministratore delegato di Rai e Francesco Starace, Ceo di Enel.
Le motivazioni ufficiali dell’assegnazione non sono ancora state rese note, ma il 43enne ex militare diventato primo ministro esattamente due anni fa, il 2 aprile del 2018, è universalmente stimato e considerato un innovatore in tutti i campi, anche in quello economico. Non appena nominato ha infatti assicurato apertura, democratizzazione e riconciliazione e tra le prime misure che hanno caratterizzato il suo governo ci sono state la rimozione dei partiti di opposizione dall’elenco dei gruppi terroristici e la scarcerazione di prigionieri politici e giornalisti.
A ottobre del 2019 ha ricevuto il premio Nobel per la Pace «grazie ai suoi sforzi per risolvere il conflitto di confine con la vicina Eritrea e per il riconoscimento di tutte le parti interessate che lavorano per la pace e la riconciliazione in Etiopia e nelle regioni dell’Africa orientale e nord-orientale». Per il Paese africano ha rappresentato la speranza di cui aveva bisogno. L’entusiasmo era tale che The Economist parlò di “Abiymania”. Ma Abiy non si è impegnato solo per la pace del suo Paese: ha presieduto l’incontro tra il presidente del Sud Sudan Salva Kiir e il suo rivale Riek Machar, in lotta da cinque anni in una delle più violente guerre civili in corso in Africa che ha portato alla morte di decine di migliaia di persone e alla fuga di milioni di cittadini. E ha guidato il Sudan nella transizione dopo la deposizione dell’ex presidente Omar al Bashir.
Sul fronte interno, ha tolto il monopolio dello Stato su molti settori chiave dell’economia, come l’aviazione e le telecomunicazioni, e ha avviato un ambizioso programma di riforme che mira ad aprire una delle economie più chiuse dell’Africa. L’Etiopia oggi è una delle nazioni africane con la crescita economica più sostenuta. La crescita economica è stata in media del 9,9% su base annua dal 2008 al 2018 e il Paese viene visto come il nuovo centro produttivo del continente.