ll governo etiope ha annunciato l’avvio di un progetto di produzione di energia da fonti geotermiche nel tentativo di sbloccare un settore dal grande potenziale, ma finora ancora non sfruttato. Il progetto si chiama “Aluto Langano” e prevede la costruzione di un impianto geotermico da 75 MW a circa 200 chilometri a sud di Addis Abeba e dovrebbe avere l’assistenza finanziaria della Banca mondiale. Attivo sul dossier è il ministero dell’Acqua, dell’irrigazione e dell’Energia (MoWIE).
Il 13% del territorio etiope si trova nella Rift Valley, la depressione che attraversa la regione dell’Africa orientale che è una delle zone geologicamente più attive al mondo. Con l’acqua sottostante che ha una temperatura molto elevata, la Rift Valley ha un potenziale di energia geotermica valutato in almeno 15.000 MW elettrici tecnicamente ed economicamente installabili con le attuali tecnologie. Secondo gli studi più recenti, l’Etiopia dispone di risorse geotermiche capaci di generare fino a 10.000 MW di energia.
Questo potenziale non è stato però sufficientemente sfruttato sinora, poiché le risorse geotermiche erano considerate alla stregua di risorse minerarie e pertanto soggette all’obbligo di pagamento dei diritti d’estrazione. L’anno scorso il Parlamento ha approvato una nuova legge (“Geothermal Resources Development Proclamation”) che prevede l’esonero dal pagamento delle royalties allo Stato per i produttori di energia geotermica, proprio per favorirne lo sviluppo in particolare ai fini della produzione e della trasmissione di elettricità. Negli anni scorsi proprio gli ostacoli burocratici, normativi e finanziari hanno rallentato un grande progetto di sviluppo di energia geotermica sostenuto dagli Stati Uniti. Si tratta del cosiddetto “progetto Corbetti”, ovvero la costruzione di un impianto da quattro miliardi di dollari realizzato dalla filiale locale dell’azienda islandese di Reykjavik, la Corbetti Geothermal Power.
Tra gli altri problemi che ostacolano il decollo del geotermico c’è la scarsità del personale qualificato. Il Geothermal Training Program della United Nations University organizza dagli anni Settanta corsi di formazione rivolti ai Paesi in via di sviluppo, ma non è sufficiente a soddisfare la domanda. Inoltre ci sono pochi impianti di trivellazione disponibili, perché quelli presenti nell’area lo sono prevalentemente in funzione delle necessità dell’industria di petrolio e gas. Ulteriori ostacoli vengono dalla inadeguatezza della rete elettrica e dalle scarse risorse finanziarie. L’aiuto viene dalla cooperazione internazionale con istituzioni quali la Banca mondiale e l’African Development Bank che hanno contribuito alle spese per avviare tre siti geotermici in Uganda e per i principali progetti kenioti.
Anche gli altri Paesi della regione come il Ruanda, l’Uganda, la Tanzania e l’Eritrea stanno cercando di sfruttare questa opportunità per estendere la copertura della rete e ridurre la dipendenza dall’energia idroelettrica, soggetta all’irregolarità stagionale delle piogge. Il Paese geotermicamente più avanzato dell’Africa è il Kenya, che ha già realizzato tre centrali. Il Governo, attraverso la Kenya Electricity Generating Company Limited (KenGen), ha commissionato lavori per potenziare gli impianti soprattutto nei pressi di Olkaria, la principale area dei campi geotermici. I lavori per la costruzione dell’impianto geotermoelettrico di Olkaria V, nel sito vulcanico di Olkaria Domes a un centinaio di chilometri a nord-ovest di Nairobi, sono cominciati. Il progetto è stato sviluppato dall’azienda pisana Steam, che assieme alla portoghese Gesto rappresenta il partner tecnico incaricato della supervisione dei lavori presso il cantiere. La potenza della turbina sarà di 158MW. L’obiettivo del Kenya è quello di arrivare a 2.300 MW entro il 2020.