Made in Ethiopia, la nascita dell’industria tessile
15 Settembre 2017

Se l’Etiopia punta a essere la nuova fabbrica del mondo, molto probabilmente comincerà a farlo producendo vestiti con la sigla “Made in Ethiopia”. L’industria tessile è in fermento. E quattro fatti recenti lo dimostrano. Il gruppo italiano Calzedonia, dopo l’attivazione di un centro di formazione nel 2016, entro la fine dell’anno aprirà uno stabilimento per la produzione di maglieria a Macallè e ha scelto l’Etiopia perché più vicina all’Europa rispetto all’Asia e con un costo del lavoro e dell’energia favorevoli.

Toyota ha rilevato il 40 per cento del capitale di un’altra società giapponese, la Hiroki Co. Ltd, che sta costruendo una fabbrica nel parco industrial di Mekele per produrre scarpe e altri accessori in pelle, perché la materia prima prodotta a livello locale è di ottima qualità.

Gli israeliani di Bagir Group Ltd, dopo aver acquisito nel 2014 il 50% del capitale di Nazareth Garments (NCG) hanno appena comprato la quota restante del produttore di vestiti creato dal governo etiope nel 1991. Ncg si trova ad Adama, nella regione di Oromia, a 100 chilometri a sud-est di Addis Abeba ed è specializzato nella produzione di uniformi, divise da lavoro e abbigliamento casual. In Etiopia il gruppo israeliano dovrebbe far nascere il principale polo manifatturiero grazie agli incentivi fiscali e ai bassi costi di produzione.

Infine, la Ambassador Garment & Trade ha raddoppiato la capacità produttiva. Il marchio etiope, nato all’inizio degli Anni ‘80 con una sola macchina per cucire, produce attualmente 500 capi maschili al giorno nella fabbrica di Gerji, a pochi chilometri dal distretto di Bole, dove si trova l’aeroporto internazionale della capitale. Presto si espanderà a Gelan, a un centinaio di chilometri da Addis Abeba. La domanda sta crescendo, grazie alle richieste di studenti e lavoratori del settore bancario e assicurativo. Ambassador ha 85 negozi nel Paese e 750 dipendenti, destinati a salire.

Attualmente in Etiopia sono attivi 115 stabilimenti tessili. Il Paese comincia ad attrarre investimenti e capitali stranieri, che stanno contribuendo allo sviluppo dell’industrializzazione. Addis Abeba ha lanciato una strategia per sfruttare al meglio il potenziale nel settore tessile, che può contare già su un mercato interno e un crescente capitale umano e materiale. Il più grande parco industriale africano creato ad Awassa – 270 chilometri a sud della capitale – costruito dalla China Civil Engineering Corporation e inaugurato a giugno 2016 è riservato esclusivamente per la produzione di tessuti e abbigliamento. Secondo l’Ethiopian Textile Industry Development Institute (Etidi), diciotto impianti hanno già cominciato a produrre. In loco sono arrivati a produrre per esempio l’americana Pvh, che detiene tra gli altri i brand Calvin Klein e Tommy Hilfiger, e la TAL Apparel di Hong Kong, uno dei più grandi fabbricanti di abbigliamento al mondo. Ma anche altre aziende, cinesi, indiane, dello Sri Lanka e sei imprese etiopi. Attualmente lavorano 10mila persone, ma regime, dovrebbe impiegarne 60mila. Il governo prevede di ricavare da Awassa circa il 25 per cento dalle esportazioni del settore tessile, attese in oltre 400 milioni di dollari nell’esercizio fiscale iniziato l’8 luglio scorso.

La nascita di una vera industria tessile potrebbe essere il perno per cambiare l’economia del Paese, proprio come fu un fattore chiave delle prime rivoluzioni industriali di Inghilterra e Germania nella seconda metà del diciottesimo secolo. Il tessile è considerato il settore prominente per rafforzare l’export, creare opportunità di lavoro e acquisire conoscenza ed esperienza anche a modello anche per altri settori. Inoltre, si ritiene potrà facilitare lo sviluppo delle capacità, attraverso la formazione e la condivisione di esperienze, e il trasferimento di tecnologia.