Africa, il boom dell’Etiopia e la crescita a due velocità
24 Maggio 2017

Un’Africa a due velocità, con alcuni Paesi che crescono a un ritmo elevato – come l’Etiopia che sarà top performer – e altre economie che, invece, rimangono con il freno tirato. Lo sviluppo economico non sta procedendo in modo uniforme, almeno guardando alle ultime previsioni del Fondo monetario internazionale.

In base all’outlook del Fmi, nel suo complesso l’Africa sub-sahariana nel 2017 avrà una crescita del Pil di circa il 2,5%, lasciandosi alle spalle il modesto +1,4% del 2016, anno che aveva segnato la crescita più bassa delle ultime due decadi. Nella media del 2,5% ci saranno alti e bassi.

Saranno i Paesi che non sono grandi produttori di petrolio a registrare i tassi di crescita più alti, sopra il 6 per cento. Tra questi, Senegal, Tanzania, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Rwanda ed Etiopia. In particolare, Addis Abeba, che ha un mercato potenziale di 100 milioni di persone, è l’economia che dovrebbe espandersi maggiormente, crescendo a un ritmo del 7,5 per cento nel 2017, dopo una crescita del Pil che si è fermata al 6,5% nel 2016, frenata da “El Nino”, il fenomeno atmosferico che originandosi nel Pacifico ha causato una gravissima siccità in gran parte dell’Africa orientale. Inoltre, la nazione dell’Africa orientale è riuscita a stabilizzare la disoccupazione, con un tasso del 5,7% nel 2016, mentre quella dei giovani si è attestata all’8,1%.

Nonostante la ripresa della produzione di petrolio, Nigeria e Angola dovrebbero crescere rispettivamente meno di altri Paesi e attestarsi rispettivamente a +0,8 e +1,3 per cento. Il Sud Africa, altro big del continente a livello economico, fermerà il Pil a +0,8 per cento. Questi tre Paesi, che assieme rappresentano il 60% del volume dell’economia complessiva dell’Africa subsahariana, sono stati colpiti dall’abbassamento dei prezzi delle materie prime, prodotti da cui dipendono in larga misura le loro entrate da esportazione.

Il caso della Nigeria è emblematico. Considerata l’economia più promettente della regione grazie alle ingenti riserve di petrolio, gas naturale e altre materie prime (stagno, carbone, ferro, zinco, piombo, oro e uranio), Abuja – che come Pil ha superato Pretoria – si è rivelata poco capace di reagire alle variazioni dei prezzi che, secondo le previsioni del Fondo monetario, sono destinati a restare ben al di sotto dei picchi registrati nel 2013. Secondo l’ultimo rapporto pubblicato dall’Agenzia internazionale dell’energia (Aie), il mercato petrolifero globale è “molto vicino” all’equilibrio, anche se la crescita più debole della domanda e la robusta produzione statunitense indicano che il tentativo dell’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (Opec) di frenare l’offerta per far salire i prezzi resta difficile. Il governo di Abuja, ritengono gli esperti dell’istituto finanziario, dovrà raddoppiare gli sforzi per rilanciare l’economia. In particolare, l’Fmi si aspetta che la Nigeria adotti una serie di riforme tra cui l’abolizione delle restrizioni valutarie e l’eliminazione del sistema di tassi di cambio multipli attuato di recente per attutire gli choc economici. Altrimenti, potrebbe avere difficoltà a ottenere i prestiti per 1,4 miliardi di dollari recentemente chiesti ai principali istituti finanziari internazionali.

Sono l’instabilità politica e in particolare il ricambio di vari ministri delle Finanze a pesare sul Sud Africa, che ha subìto una serie di downgrade da parte delle agenzie di rating. Lo scorso 3 aprile, Standard & Poor’s ha tagliato il rating del Paese, portandolo a BB+, cioè al di sotto dell’investment grade. La decisione è stata seguita una settimana dopo da Fitch, mentre solo Moody’s con BAA2 è appena al di sopra del livello che classifica il debito come junk, spazzatura.

Nonostante questa situazione, la ripresa generale prevista per il 2017 sarà dovuta prevalentemente all’aumento della produzione petrolifera in Nigeria, all’aumento della spesa pubblica in Angola in previsione delle elezioni fissate per agosto e alla fine della siccità che ha colpito l’Africa australe, danneggiando il settore agricolo. Siccità che sta ora facendo sentire i suoi effetti nella parte orientale del continente e che ha portato la Banca mondiale a ridurre le stime di crescita per alcuni dei Paesi della regione. Tra questi c’è il Kenya, che però rimarrà su livelli di sviluppo elevati. In un rapporto pubblicato ad aprile, l’istituto di base a Washington ha previsto una crescita del 5,5 per cento nel 2017 rispetto al 5,9 per cento registrato lo scorso anno.

E’ dal 2000 che l’Africa subshariana presenta un andamento economico positivo stabile. Secondo il Capo del dipartimento africano del Fmi Abebe Aemro Selassie, l’Africa Subsahariana “rimane una regione dal fortissimo potenziale per la crescita di medio termine. Però, con il limitato supporto da parte dell’ambiente esterno, misure in politica interna sono assolutamente necessarie per raccogliere i frutti di questo potenziale”.

Il report del Fondo monetario indica tre aree principale su cui i Paesi africani dovrebbero agire se vogliono assicurare un livello di crescita sostenuto e continuo. La prima è quella della stabilità macroeconomica per le nazioni più colpite dalla crisi. La seconda è quella della responsabilità fiscale e della diversificazione dell’economia. La terza è la sicurezza sociale.